“Laila sapeva che in città, da qualche parte, qualcuno era appena stato ucciso e che un velario di fumo nero avvolgeva qualche edificio che era crollato lasciando una massa informe di macerie.
Il mattino successivo, la strada sarebbe stata disseminata di cadaveri. Alcuni sarebbero stati raccolti. Altri no. Poi i cani di Kabul, che ormai non disdegnavan la carne umana, avrebbero banchettato.”
Era il 2007 quando ho preso in mano questo libro. E’ stato un regalo di una collega. Avevo appena finito di leggere ”Il cacciatore di aquiloni” di cui mi ero innamorata, letto tutto d’un fiato. Con questo è stato lo stesso. Mi ricordo che avevo amici a casa e mi ero presa un’ora per me solo per continuare la lettura. Ero rapita dalla storia di queste due donne, Miriam e Laila, così diverse ma così simili nel loro destino. L’Afghanistan e la sua scena politica fa da sfondo alla loro vita fatta di privazioni e vessazioni.
Mariam, ultima tra gli ultimi, è una harami, figlia illegittima, educata dalla madre ad essere considerata una nullità in quanto donna e figlia nata al di fuori del matrimonio. Laila appartenente ad un’altra generazione e ad un’altra estrazione sociale. Figlia amata, istruita, con una famiglia unita, con un migliore amico, Tariq di cui si innamora.
Entrambe vivono un rapporto difficile con le rispettive madri che non le considerano. La madre di Miriam la educa ad essere una nullità in quanto donna; la madre di Laila vive solo nel ricordo dei due figli maschi arruolatisi tra i mujeidin per combattere i sovietici occupanti l’Afghanistan e uccisi durante una guerriglia.
Miriam è costretta a sposare un uomo sgradevole, il calzolaio Rashid e a trasferirsi a Kabul. Laila incinta deve separarsi da Tariq che a causa della guerra si trasferisce in Pakistan e si ritrova costretta con un inganno, credendo ormai il suo innamorato morto, a diventare la seconda moglie proprio di Rashid.
Se fino a quel momento le vite delle due donne hanno percorso binari paralleli, da questo momento le loro storie si intrecciano e il loro rapporto anche se inizialmente difficile, diventa solidale di fronte alla violenza e ai soprusi che il marito riversa su entrambe. Per ottenere la felicità ci sono sempre dei sacrifici da compiere e in questo caso il sacrificio è molto grande.
Miriam e Laila sono il simbolo di una situazione al limite del credibile per chi è nato e vissuto in occidente. Una situazione politica che ha portato la donna afghana costretta ad indossare il burka, a non parlare con nessuno, a servire come una schiava il marito-padrone, ad essere considerata meno di nulla in una scena sociale molto ben rappresentata, nella quale i morti innocenti sono troppi e la violenza gratuita è all’ordine del giorno.
Martina G.C.